Il circolo di Legambiente Carrara ha inviato una lettera aperta ai dirigenti politici locali, segnalando e dimostrando, ancora una volta, l’aumento del rischio alluvionale nella città toscana dovuto all’abbandono delle terre nel bacino montano ed alla riduzione delle scaglie nei ravaneti.
I volontari di Legambiente hanno messo a disposizione il video di un esperimento dimostrativo nell’intento di fornire un servizio all’amministrazione (togliendole, al tempo stesso, ogni alibi) e, soprattutto, ai carraresi già duramente e ripetutamente colpiti da alluvioni. Infatti, nonostante i lavori di sistemazione del Carrione, il centro città è soggetto ad un rischio alluvionale elevato (e crescente nel tempo) a causa della radicale trasformazione dei ravaneti, sempre più poveri di scaglie e più ricchi di terre: a parità di precipitazioni, dunque, i picchi di piena divengono più elevati.
I ravaneti, grazie ai notevoli spessori, all’elevata permeabilità ed alla grande estensione, forniscono un contributo rilevante al rallentamento dei deflussi perché: 1) assorbono elevati volumi d’acqua (sottraendoli alla piena); 2) ne rallentano lo scorrimento verso valle, costringendoli ad un percorso molto lungo, tortuoso e con elevato attrito negli interstizi tra le scaglie.
I ravaneti, tuttavia, non sono tutti uguali: a partire dagli anni ’90, con l’avvento del business delle scaglie, queste sono utilizzate per produrre granulati e carbonato in polvere, mentre le terre vengono abbandonate al monte (abusivamente). Perciò i ravaneti moderni sono sempre più ricchi di terre e poveri di scaglie e di conseguenza meno permeabili; si riduce perciò la frazione di acque piovane che si infiltra in essi, mentre aumenta la frazione che scorre in superficie, quindi con un percorso più breve e più veloce. Sono anche più suscettibili all’innesco di colate detritiche (le terre inzuppate tendono infatti a liquefarsi) che colmano gli alvei sottostanti provocandone l’esondazione e più inquinanti, poiché marmettola e terre dilavate dalle acque intorbidano sia le acque superficiali sia l’acquifero e le sorgenti.
Dall’insieme di questi principi fondamentali è scaturita la proposta per ridurre il rischio alluvionale tramite due meccanismi:
- l’effetto “spugna”: immagazzinamento d’acqua nel corpo dei ravaneti (che viene così sottratta al deflusso) e, soprattutto,
- l’effetto “rallentamento” dei deflussi: il deflusso del volume d’acqua precipitato viene distribuito su un maggior arco di tempo, con conseguente riduzione del picco di piena.
Il risultato dell’esperimento è veramente impressionante: con il ravaneto asciutto si ottiene un picco di piena ritardato (80 secondi dall’inizio della pioggia, anziché 40) e molto più basso (un abbassamento di 212 mm: da 343 a 131 mm). Le linee tratteggiate mostrano che il volume raccolto nella bottiglia scende da 500 mL (senza ravaneto) a 400 mL (col ravaneto): in pratica, il ravaneto asciutto, funzionando da spugna, ha assorbito 100 mL, sottraendoli ai deflussi.
Resta da stabilire in quale misura l’abbassamento del picco di piena sia dovuto all’effetto spugna e in quale misura all’effetto rallentamento dei deflussi.
Il principio ispiratore di questo esperimento è molto semplice: se il ravaneto è completamente saturo d’acqua, non può assorbirne altra (l’effetto spugna è dunque annullato). In queste condizioni, pertanto, la riduzione del picco di piena ottenuta sarà attribuibile al solo effetto rallentamento.
I risultati sono chiari: dei 212 mm di riduzione del picco di piena ottenuti col ravaneto asciutto, ben 180 sono merito dell’effetto rallentamento dei deflussi e solo 32 dell’effetto spugna.