I risultati del più completo controllo dello stato di salute del Pianeta mai intrapreso hanno rivelato dato drammatici: dalle barriere coralline che diventano bianche alle foreste pluviali che si trasformano in savane.

Il rapporto di valutazione globale delle Nazioni Unite racconta come la biomassa relativa ai mammiferi è diminuita dell’82%, due specie su cinque di anfibi sono a rischio di estinzione, così come un terzo dei coralli che formano la barriera corallina e quasi un terzo delle altre specie marine. Il quadro per gli insetti – che sono cruciali per l’impollinazione delle piante – è meno chiaro, ma stime prudenti suggeriscono che almeno uno su 10 è minacciato di estinzione.

In termini economici, le perdite sono sbalorditive. La perdita degli impollinatori ha messo a rischio 577 miliardi di dollari di produzione agricola a rischio, mentre il degrado del suolo ha ridotto la produttività del 23% della superficie globale.

Gli impatti a catena sull’umanità, tra cui la carenza di acqua dolce e l’instabilità climatica, sono già inquietanti e peggioreranno senza drastici interventi correttivi.

Centinaia di scienziati hanno compilato 15.000 studi accademici e dopo gli scioperi scolastici, le proteste di Londra, la dichiarazione del parlamento britannico di un’emergenza climatica (a cui si aggiunge quello irlandese) e il dibattito sul New Deal verde negli Stati Uniti e in Spagna, gli autori sperano che lo studio spingerà ad un cambio radicale dell’agenda politica mondiale.

Il rapporto mostra un Pianeta in cui l’impronta umana è così grande da lasciare poco spazio ad altro. Tre quarti di tutti i terreni sono stati trasformati in campi coltivati, coperti da cemento, inghiottiti da bacini idrici o comunque significativamente modificati.

Due terzi dell’ambiente marino sono stati modificati da allevamenti ittici, rotte marittime, miniere sottomarine e altri progetti. Tre quarti di fiumi e laghi sono utilizzati per la coltivazione di colture o bestiame.

L’agricoltura e la pesca sono le cause principali del deterioramento. La produzione di cibo è aumentata notevolmente dagli anni ’70, il che ha contribuito a nutrire una popolazione globale in crescita e ha generato posti di lavoro e crescita economica. L’industria della carne ha un impatto particolarmente pesante. Le aree di pascolo per i bovini rappresentano circa il 25% della superficie mondiale senza ghiaccio e oltre il 18% delle emissioni globali di gas serra. La produzione agricola utilizza il 12% del terreno e crea quasi il 7% delle emissioni.

In termini di habitat, la perdita più profonda è quella delle zone umide, che sono state prosciugate dell’83% dal 1700, con un impatto a catena sulla qualità dell’acqua e sull’avifauna. Le foreste stanno diminuendo, in particolare nei tropici. Nei primi 13 anni di questo secolo, l’area della foresta intatta è diminuita del 7%, più grande di Francia e Regno Unito messi insieme.

A seguito del “mega-rapporto” dell’ONU sono state presentate proposte specifiche ai governi da parte dell’OCSE alla riunione dei ministri dell’ambiente delle nazioni del G7. Le raccomandazioni includono un incrementare gli investimenti nel ripristino della natura e l’aumento del carico fiscale sulle società che degradano la fauna selvatica.